Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo

Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo

Autore/i: Michele Colasanto, Rosangela Lodigiani

Casa editrice: CNOS-FAP

Data di pubblicazione: dicembre 2007

Collana: Studi

Una premessa necessaria La formazione professionale, come sistema, sta cambiando in termini non percepiti forse dall’opinione pubblica, ma invece ben percepiti dagli attori sociali coinvolti. C’è da tempo un tentativo, con alterne vicende, di rivederne il ruolo nella fase iniziale della vita delle persone in relazione alla loro entrata nel mercato del lavoro. C’è il crescere delle attività formative durante il corso della vita. Le due cose, formazione iniziale e continua si richiamano, la seconda soprattutto presuppone una buona qualità della prima. Questo volume costituisce un tentativo di approfondire tutti i significati, legati al lavoro e non, della seconda, cioè la formazione continua e permanente. Progressivamente occorrerà disporre di un quadro di riferimento sempre più organico, che chiarisca e rafforzi il senso di un sistema complessivo di formazione professionale che sembra oggi essere a un bivio: affermare una sua autonomia, che può solo derivarle da un carattere sistemico, di pari dignità con la sfera scolastica, o frantumarsi in attività segmentate e separate. Per venire all’oggetto di questo contributo, il tema della cosiddetta cittadinanza attiva e quello connesso del welfare attivo sono al centro dell’agenda politica europea da diversi anni, almeno a partire dalla definizione della Strategia Europea per l’Occupazione avvenuto nel celebre vertice di Lussemburgo del 1997. Il lancio della SEO, infatti, indica nel concetto di “attivazione” il fulcro di un ampio disegno di riforma del welfare che dalle politiche del lavoro si allarga alle politiche formative e alle politiche sociali, prevedendone non solo una rimodulazione, ma anche una loro crescente integrazione. A partire dall’esigenza di individuare strategie efficaci per combattere la disoccupazione, ridurre la spesa sociale, promuovere l’innalzamento generalizzato dei tassi di attività e di occupazione, combattere l’esclusione dal mercato del lavoro dei soggetti più deboli e svantaggiati, l’attivazione diviene sinonimo di un processo di innovazione che, mentre mira a coniugare ragioni di efficienza ed equità sociale (come è nel dettato di quello che viene definito il “modello sociale europeo”), agisce sulla responsabilizzazione dei soggetti e sul loro empowerment, al fine di renderli protagonisti attivi e responsabili nel fronteggiamento delle situazioni di disagio occupazionale e sociale in cui possono trovarsi. Emblematicamente il welfare attivo si traduce, con riferimento ai rischi connessi al lavoro, nei programmi di welfare to work, i quali, pur conservando specificità nazionali, vedono i Paesi europei convergere verso politiche comuni o, quantomeno, verso una comune convinzione: occorre sostenere il soggetto in situazione di disagio per favorirne il passaggio dal welfare al lavoro secondo i principi del welfare to work, mediante politiche ad hoc che prevedono dispositivi di diverso tipo come gli in work benefit (che agiscono soprattutto attraverso la leva fiscale ed economica: per es. come i crediti di imposta e i lavori sussidiati), job to job benefit (che sostengono la mobilità e la flessibilità del lavoro con servizi di accompagnamento, orientamento, inserimento; formazione, …). Si tratta di dispositivi generalmente subordinati – seppure in modo più o meno accentuato a seconda dei Paesi – al vincolo della “condizionalità”, ovvero all’accettazione da parte del soggetto che ne beneficia delle condizioni poste dai programmi di attivazione e reinserimento attivo nel mercato del lavoro: l’obiettivo è quello di realizzare una “protezione sociale attivante”. Come tale convinzione si declini sul piano delle policies è materia di opzione politica e di fatto rimanda al patto di cittadinanza che lega Stato e cittadini in ciascun contesto nazionale. Volano di questo reinserimento attivo sono considerate le azioni di manutenzione e promozione dell’occupabilità del lavoratore, azioni che passano attraverso lo sviluppo di politiche formative rivolte alla popolazione attiva, occupata e non, e che si rivelano essere uno dei pilastri più importanti di questo nuovo sistema di protezione, il quale – non riuscendo (o non volendo) garantire in merito al posto di lavoro, in uno scenario di crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro e incertezza delle traiettorie di vita – punta a garantire una “sicurezza nella mobilità”. Da qui discenderebbe cioè la possibilità di configurare un welfare che offre protezione nella misura in cui garantisce opportunità di partecipazione attiva, e che per questo investe nel capitale umano dei propri cittadini, nell’istruzione, nella formazione professionale, nella formazione permanente. Con quale ruolo ed efficacia dipenderà, come si è detto all’inizio, dal carattere, sistemico e no, che si vorrà dare in particolare alla formazione professionale. La ricerca presentata in questa sede, affidata dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP alla Fondazione Pastore, mira precisamente a indagare i temi qui brevemente evocati, cercando di individuare i fattori di sostenibilità, le potenzialità e le ambivalenze di questo nuovo modello di welfare attivo, andando ad approfondire in modo particolare il ruolo che in tale contesto può essere giocato dalla formazione e dalle politiche di capitale umano, invocate come il vero pilastro dell’attivazione, ma non di rado piegate a fini meramente funzionali rispetto all’occupazione. Muovendo in questa prospettiva, la ricerca conduce nell’analisi dei modelli di welfare attivo e dei programmi di attivazione messi in atto in quattro Paesi europei (Danimarca, Francia, Inghilterra, Italia), e in particolare invita a puntare l’attenzione sul ruolo che in essi giocano le politiche formative. Dentro questo percorso, sono molti gli spunti di riflessione che emergono e che non mancano di sollecitare il mondo della formazione professionale, anche iniziale, e in generale il sistema educativo, come del resto lo stesso paradigma del lifelong learning suggerisce. L’ottica del lifelong learning infatti, puntando l’attenzione sulle esigenze di promuovere un apprendimento continuo, lungo l’arco della vita attiva, in qualsiasi contesto formativo, lavorativo e sociale, valorizza anziché diluire il ruolo dell’istruzione e della formazione iniziali. Mario TONINI (Presidente CNOS-FAP) – Lauretta VELENTE (Presidente CIOFS/FP)

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